27 Gennaio: non un giorno qualunque

Oggi si commemora, un po’ per dovere, un po’ per convinzione, quel tragico e insieme salvifico 27 gennaio 1945 quando le truppe sovietiche liberarono il campo di concentramento e sterminio di Auschwitz e aprirono al mondo post bellico il vero volto del nazismo. Sarà perché ormai siamo sempre più compressi in uno stadio di commemorazione costante senza più essere capaci di comprendere davvero il significato della celebrazione, un fenomeno che colpisce anche festività religiose come il Natale. Molta retorica e poca comprensione. In questo senso il post della blogger Cristiana Alicata su/contro Galli della Loggia è interessante perché vivifica questa celebrazione attualizzandola: i gay (che erano oggetto di analoghi trattamenti degli ebrei per i nazisti) come nuovi ebrei. Discriminati. Un esercizio retorico utile (sebbene forse leggermente forzato) perché rende visibile – almeno per chi non è ebreo o non ha avuto parenti nei campi – e più comprensibile quel tratto disumanizzante della macchina di morte e omologazione che erano (e sono sempre) i totalitarismi. Dobbiamo fare tutti uno sforzo per capire meglio il ‘900 e le sue contraddizioni oppure ricordare sarà sempre più scomodo e sempre più inutile.

“Quel che ora penso veramente è che il male non è mai ‘radicale’, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso ‘sfida’ come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua ‘banalità’. Solo il bene è profondo e può essere radicale” (Hannah Arendt, La banalità del male)

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